di Maurizio Gregorini
Poeta e Musicologo
“Non usatemi come fossi già morta” – ‘Le ultime verità’
Maurizio Gregorini intervista Mia Martini. Roma, aprile 1995
“Vorrei essere apprezzata per quello che sono: un’artista strana, perché canto e sono interprete; perché la gente crede, senza prestare la giusta attenzione, che tutto ciò sia dovuto solo alla mia voce. Considerazione che mi spinge a credere che intorno a me vi siano solo pazzi; una sensazione bislacca, che mi fa ponderare che il pubblico -o chi mi ama- mi viva e mi usi come fossi una sorta di mito vivente, ideale soggetto ad un fanatismo che rasenta il razzismo. Sì, è vero: tutti mi vogliono: musicisti, discografici, produttori, e chi sostiene di volermi bene. Ma sai Maurizio qual è l’eccentricità? Che i fan i miei dischi proprio non li acquistano; anzi, si offendono, si incazzano se, incontratami in strada, io non glie ne faccia dono. Chissà, magari in Italia sono l’unica a subire questa sorta di estremismo assoluto. E stanne certo, accade anche con gli autori: ognuno elabora e vuole scrivere per me solo secondo il loro modo intimo di intuire un impulso, vedere o vivere una determinata sfera affettiva. Una versatilità nella musica, uno strampalato atteggiamento di amarla quello che ho, più delle volte oggetto di liti coi discografici, che mi impongono un modello prescelto, decidono per me, gradiscono che sia -artisticamente- solo in quel tipo di condotta in cui, ciecamente, proseguono a percepirmi. Mi spiego: quando sostengono che un certo tipo di canzone posso interpretarla solo io, a me prende una sorta di colpo apoplettico: considero l’istigazione una vera violenza sul mio vivere la canzone come una attrice, protagonista che ha però il dono della voce. Pertanto mi sottopongono pezzi composti, vergati con passaggi e virtuosismi cretini, incoerenti, dal senso puramente aggraziato, tanto per far presentire al pubblico che sono una cantante esperta. Oppure mi propongono brani d’amore, di pena, dal sapore cretino e lacrimoso. Gli autori mi si presentano enunciando: ‘ho scritto un pezzo stupendo, che solo tu riuscirai a rendere magnifico’: detto ciò a me la mazzata in testa m’arriva all’istante: ma che per caso devo andare a salvare qualche bambino disinserito? Questi autori non arrivano proprio ad abbrancare che, quando credono di aver composto un pezzo adatto a me, vestito a mia misura, in realtà hanno partorito dei mostri. Canzoni orrende, da me provate come veri soprusi psicologici. Ma dico: per quale logica sibillina nessun autore m’offre brani di qualità come ‘Attenti al lupo’ di Lucio Dalla, da me tanto amato e che interpreterei volentieri? Di certo non penso affatto che gli altri scoprirebbero dissacratoria una Mia Martini che interpreta non so, Gianna Nannini, che scrive decisamente canzoni belle, che mi divertono. Con che gusto saprei intonare bene ‘Gelato al limone’ o ‘quest’amore è una camera a gas’. E’ che conosco la pusillanimità di alcuni autori che si turbano di farmi sentire brani del genere. Beh, di che ci si deve imbarazzare? Invece di farmi sentire quelle cagate di canzoni, che sono poi le pippe che si fanno da soli quando si masturbano… Il solito egoismo maschile. E io? Non debbo godere? A me piace il sesso; quindi, se debbo scopare, scopo; contrariamente non me ne frega niente degli autori che mi esaminano e si masturbano di nascosto; me ne frego che debba divenire -per loro intimo diletto- esattamente come l’immagine lussuriosa che di me si sono costruiti, parvenza che li scatena in quell’attimo di esclusività tutta loro. Non credi? Altrimenti Maurizio, come te la spieghi?”.
– Tuttavia non si può nascondere che pure queste incluse ne ‘La musica che mi gira intorno’ siano, in un certo senso, tracce immortali, da te rese di una bellezza strana, quasi fossero -a tua insaputa- state scritte appositamente per te…
“Forse. Nondimeno fra le tante belle che vi sono, ‘Dillo alla luna’ è stata l’unica che ho potuto rendere veramente del tutto personale. Difficile prenderne in prestito altre. Come dire?, hanno quel nome e cognome inesplicabile, da cui non si può affatto prescindere. Parlando di Vasco non si può negare che i suoi testi siano la sua fotografia. Ecco perché egli risulta essere un personaggio vero, capace di prendere l’interesse di chiunque. Come fai a cantare ‘Bollicine’ o ‘Liberi liberi’ se non sei Vasco Rossi? Come le canti, come spieghi a te stessa quelle distinte definizioni? Concludendo: se le cantassi io, chi mi crederebbe? Scrivere una cosa che non sia il tuo ritratto vuol dire lavorare per una realtà oggettiva dal sapore di una immagine totalmente commerciale; solo che la elabori, la presenti, usando te stesso. Vasco Rossi è talmente intimo da non scivolare in trappole del genere. Lui è parte della schiera di quei cantautori italiani -sublimi- che hanno una maniera di intonare le loro canzoni talmente magica da far supporre che faticosamente qualcun altro in seguito può confezionarle come sue. Io non potrei mai cantare ‘Vita spericolata’, canzone bellissima, che amo; però se me la canta un altro mi incazzo. Vasco Rossi è Vasco Rossi, inimitabile. Si dica lo stesso di Lucio Battisti, anche se stracantatissimo. Di qui il piacere profondo che proverei per davvero se il pubblico mi riconoscesse senza difficoltà alcuna in ‘Tutto sbagliato’ di Edoardo Bennato, versione presente nel nuovo album, dato che si tratta di situazioni provate sulla mia pelle, macerie della vita nelle quali mi sono imbattuta, riflettendovi un senso, il valore dell’esistenza. Non è semplice mostrare che dentro di me ora è nata un nuovo modello di donna. E’ noto: dalla morte nasce la vita, e questa di Bennato trovo sia il più grande inno d’amore di tutti i tempi, parole semplici dove si ammette che non vi è proprio nulla di umiliante a dichiararsi vinti. Desidererei ardentemente che da ‘La musica che mi gira intorno’ emergesse questo: che la gente comune, il mio pubblico o gli addetti ai lavori -i discografici per intenderci, ma pure chi sostiene di amarmi con tutte le proprie forze- non proseguano a servirsi di me come fossi già morta. Non intendo farmi della pubblicità, bada bene, ma a me basta afferrare che gli altri abbiano finalmente assimilato, accettato pienamente, che io sono fatta così. Dovrebbero provare amore nei miei riguardi per questo, e non per altro. O perlomeno: sono io ora ad intendere l’amore, a viverlo, a nutrirmi di esso con un trasporto insolito; ecco perché intendo rinascere da ‘Tutto sbagliato’, poiché è di lì che intendo percorre una strada sconosciuta, ed è proprio lì che adesso ho messo le mie radici, artistiche e personali. E intendo qui, all’istante, confermartelo: da una perdita nasce la realtà; io l’amore nuovo l’ho trovato nelle sue parole, in questo dolore di Bennato che scrive ‘Tutto sbagliato’. Lo so, divento noiosa, ma continuo a ribadirlo, al pari di una stolta: è la dichiarazione -finalmente- dell’amore di uomo e della sua sconfitta. E’ la fitta che provi quando il partito assurge ad un amore tradito, perché vi è una dolenza impensabile, strazio che saggiai una volta sola nella mia vita, ascoltando Giorgio Gaber in teatro, quando cantava ‘Ero comunista’. Lì non v’è più un ideale politico, una ideologia. Il testo di Eugenio ed Edoardo prova che non vi sia nulla di demoralizzante ad asserirsi battuti. Sono gli unici uomini che hanno scritto quello che io avrei desiderato sentir dire dal mio uomo nei riguardi del nostro amore, quello personale, mio e suo: per essere chiari: ‘Tutto sbagliato’. Non a caso per incidere questa canzone -e solo per questa- ho scelto di eccitarmi con musicisti particolari, che ricordano la mia terra, Bagnara Calabra, me stessa. Sai perché la considero la più grande canzone d’amore d’ogni tempo? Perché, è inutile, quando un uomo confessa ‘ho perso’, è lì che diventa un uomo stupendo. Bellissimo. Ha tutte le sue incantevoli cicatrici, che possono stregarti, perché sfido chiunque nel riuscire ad innamorarsi di un computer. Vorrei innamorarmi ancora di un piccolo uomo, fragile, uguale a me, esattamente delicato nello stesso modo in cui lo sono io”.
– Cosa hai avvisato nel rapporto con Ivano Fossati?
“Oh, Ivano… gli voglio bene così com’é. L’adoro, è parte di me stessa, a tal punto che non gli voglio più bene come uomo. E’ una entità che mi ritrovo dentro. Purtroppo non siamo riusciti a rimuove una sorta di muro che ci divideva e continuamente ci distacca. Ciò che mi trovo a rimpiangere continuamente, di più, è il fatto che noi cantanti non abbiamo nessuna sorta di gratificazione. La vita degli artisti, perlomeno quella di alcuni di loro, è una esistenza dura, che costa sangue. Come avverti dal tono della mia voce ti parlo da donna, poiché ho dovuto per forza di cosa dover rinunciare ad un amore che sapevo grande, unico, irripetibile. Una condizione che ho pagato mio malgrado, dato che tra un uomo e una donna non possono coesistere due ‘star’, in atri termini: non si può fare lo stesso lavoro. E non è un presupposto inaccettabile per la donna, bensì per l’uomo, incompetente nel costruirsi una strada con le proprie robustezze. Non è d’orgoglio che hanno bisogno gli artisti, bensì di dignità. Una donna lo sa molto bene, tanto è vero che resta sola nell’affrontare un tipo di mestiere -il mio- che mi sono scelta. Considero una predilezione al coraggio il carattere della donna, a differenza di quello dell’uomo, che necessita sempre di appoggiarsi a qualcuno cui sostenersi, sia nelle sue valutazioni come nelle conclusioni che ne derivano. Non so dirti ancora se è il rapporto che rimpiango di più, poiché il nostro tipo di vita è dura, ci costa sangue. L’uomo non è temerario, non accetta, non è capace di gestire le passioni. Le donne invece sì, poiché caratterialmente forti. Credo sia stata questa la ragione che l’ha spinto al matrimonio: non per vigliaccheria, ma per fragilità, perché è un piccolo uomo. Lui voleva amare questo suo essere piccolo, poiché nessun uomo si accetta veramente. Beppe Dati l’ha scritto molto bene: ‘Gli uomini non cambiano’. Quando chiesi a Fabrizio (De André, n.d.i.): ‘dammi un consiglio. Devo andare a Sanremo con questo pezzo e debbo dire: gli uomini sono figli delle donne, ma non sono come noi; non ce la faccio ad intonare una frase del genere. Suggeriscimi qualcos’altro. Che posso dire al posto di questa frase?’. Mi rispose: ‘dì: gli uomini sono figli delle donne, ma si fanno i cazzi loro’. Ecco perché non si trasformano. Non c’è nulla da fare, si tratta di una cosa fisica. Però non c’è nulla di cui vergognarsi, ti pare?, basta saperlo. Perché io devo esserne a conoscenza e far finta di niente? Se gli uomini capissero questa stronzata che è l’orgoglio, le condizioni sussisterebbero differenti. Non è di orgoglio che abbiamo bisogno noi, ma di dignità, il che è molto diverso. Magari una donna come me questo lo sa, ce la fa, forse, se non l’ammazzano prima, a fare un lavoro come il mio. Un uomo no, se non ha appoggi psicologici, ne esce disorientato”.
– Soffri ancora per i torti subìti?
“E’ difficile far capire ad altri che, comunque sia, sebbene i patimenti m’abbiano segnato per sempre, io resti fortemente legata all’esperienza della vita mia, alle mie battaglie perse, così complesse da dimenticare e altresì forti per mettermi a tacere. Prove? Il mio conflitto con la Ricordi mi è costata tutta la vita, di artista come di donna. I debiti erano talmente tanti. Ammetto priva di disperazione di non aver mai preso una lira da quelle canzoni, perché come è noto, le royalty sono pagate in ritardo rispetto alla vendita dei dischi. Per cui le mie più grosse vendite in momenti di successi pazzeschi, ossia quando si trattava di milioni e milioni di copie di brani divenuti successi, non mi hanno fruttato nulla. Abbandonai la Ricordi perché mi imponevano di eseguire solo canzoni delle loro edizioni, che per un artista del mio livello, equivale a morire. Fu con ‘Un altro giorno con me’ che iniziarono i problemi. C’era un brano in particolare, ‘Questi miei pensieri’, di Maurizio Fabrizio, che fu l’unico che riuscii a fare di nascosto dalla Ricordi perché di proprietà delle edizioni ‘Come il vento’. Ti rendi conto? Intentai una causa. Purtroppo capitai in mano ad un pretore di questi ‘comunisti’ (non intendo però qui, con te, sollevare polemiche), che mi ha sempre odiato. Il suo ragionamento era: da una parte c’è la Ricordi (potenza, soldi, possibilità) e dall’altra Mia Martini (grande diva, che vende; dunque viziata e miliardaria. Per molti lo stereotipo della cantante di successo all’epoca era questo, superfluo non ammetterlo): ma io non avevo una lira; ero solo stupida perché non badavo ai miei interessi. Finché non arrivò nella mia vita Ivano e mi disse: ‘Smetti di darti così. Svegliati. Che stai facendo? Non puoi funzionare solo dentro un gabbiotto con le cuffie. Ma che bevi solo acqua minerale?, che cazzo hai nel sangue, la Fiuggi?’. Pensa un po’, io credevo di essere completamente astemia. Ivano mi portò ad assimilare che la vita non era solo musica, mi fece -in un certo senso- scendere dal piedistallo di sogni invivibili. Te lo dico per riallacciarmi al discorso del pretore, che avrà di certo pensato: ‘Beh, se questa qui, piena di soldi, che fa la star, non capisce un cazzo, la serviamo a dovere. Non ho tempo da perdere, mi devo occupare di cose serie, dei miei operai, dei metalmeccanici, non mi rompete i coglioni. Mia Martini, non intende cantare più per la Ricordi? Non rispetta il contratto? Allora paghi le penali e stia zitta’. Ecco, questo è stato il senso dell’accadimento. Tuttora sto pagando i vecchi debiti; non hai idea di cosa significhi. E la discografia come risponde? Stampando antologie su antologie, vendendosi i pezzi tra di loro, la Wea che li dà alla Ricordi, la Ricordi alla Fonit Cetra e viceversa… così, a seguito dei sequestri conservativi (ti rammento che la causa con la Ricordi l’ho persa non prendendo un soldo) ho iniziato ad accumulare cataste di debiti. Proprio l’altro ieri mi è giunta un’altra lettera -non rifersico il nome delle edizioni-, che dichiara: ‘Maturano le royalty? Bene ci deve ancora ottantatré milioni’. Oltre a restare debitrice in eterno, devi considerare che, sebbene abbia cambiato spesso casa discografica, ognuna di essa sapeva come vendermi al nuovo arrivato. Di qui lo stupore immenso quando, nuove compilation alla mano, scopro: strano, ma questo non era un pezzo della Wea?, questo non era della Ricordi?, quest’altro non lo incisi per la RCA? (‘La costruzione di un amore’, ‘Minuetto’, ‘E non finisce mica il cielo’, ‘Spaccami il cuore’ ecc. ecc.). Confessiamolo senza fronzoli: mi vendono e mi svendono in tutte le maniere possibili, manco fossi una lucciola. Realizzando sempre le stesse compilation: sì, sì, cambia la scaletta, ma la sostanza è quella. E lasciamelo finalmente dire: odio la sinistra. No, non amo nessun partito al mondo, anche se di particolare ho questo reiterare: detesto con tutta me stessa la sinistra, che se mi ripagasse di quello che mi ha chiesto finora… se cominciasse a risarcirmi i danni, forse…”
– Ora ti sei quietata?
“Posso solo dirti che dopo tutti gli anni passati e i dolori subìti, è la prima volta che ho inciso un disco che mi piace tutto. Ho pagato dei stramiliardi, con tutto il mio sangue, una merce di scarsissimo valore, merce anche avariata, perché ho potuto godere di questa merce pochissime volte -quanti dischi ho fatto?-, ho gioito del mio lavoro in poche occasioni, e ogni volta che ne andavo fiera, m’è toccato saldarlo amaramente: è accaduto con ‘Danza’, con ‘Mimì’, ‘Miei compagni di viaggio’…”
– Con ‘Per amarti’?
“Forse, ma con quel disco mi stavo avviando verso la strada del dolore, fino ad allora non lo permanevo energicamente. Con Ivano si era ancora amici intimi, non ero così innamorata. Ho iniziato a scontare dopo la mia pena. Ma tornando ai dischi che ti ho appena enunciato, sono quelli prediletti di più all’epoca e che mi sono costati cari. Per tutto il resto debbo dire che c’è ben poco che mi è stato dato in cambio, rispetto a tutto quello che si sono presi. E’ un po’ poco, no? E nonostante questo, di nuovo c’è l’amarezza costante, che mi affianca quotidianamente, di reinventarmi una adesione -la musica- sempre più difficile da ottenere. Lo sai, quando paghi tanto alla fine ti rompi i coglioni. L’affettuosità lascia il posto agli obblighi, alle responsabilità. Così, per rendere ancora esaltante la mia vita, ho scavato, sono andata fondo, innamorandomi di sonorità sconosciute”.
– Il tuo rapporto con gli autori, coi musicisti. Sei risolutamente stimata da loro…
“E solo con loro non ho mai litigato. Mai bisticciato con gli artisti”.
– Se dovessi produrre un disco di un solo autore, chi sceglieresti?
“Difficile da dire. Però sto pensando ad uno spettacolo teatrale che desidererei fare con tutta me stessa: un primo tempo dedicato tutto a Fabrizio De André e Ivano Fossati, mentre il secondo consacrato solo alla musica etnica. Ritornando a noi, un solo autore? La tua idea non è male, però quest’autore dovrebbe avere un repertorio vastissimo. Ecco Maurizio, il tuo suggerimento mi spinge a pensare che potrei realizzare una collana di interpretazioni, sì, ne avrei le forze, le capacità: un volume dedicato a Randy Newman, uno a Tom Waits, un altro a Paul Simon. Mentre di italiani da poter fare ve ne sono tanti: Pino Daniele, ad esempio e perché no?, anche Lucio Battisti. Mimmo Cavalli è un altro autore che stimo immensamente. Inciderei volentieri un album dedicato a lui. E poi, la canzone napoletana, tutta, e non un autore specifico”.
– Ma l’hai valorizzata già col duetto con Murolo, grande musicista che di te ha una considerazione infinita…
“E’ vero. E i napoletani l’hanno capito. E rifletto che inizino, finalmente, a intenderlo anche altri. Comunque, non credo di aver misurato per davvero un sentimento simile (l’amore per la canzone partenopea); il mio è un attaccamento personale, e sono una di quelle che crede che ‘amare significa non dovere mai chiedere scusa’, insomma una roba da baci perugina ma, scherzi a parte, amare vuol dire non essere mai delusi, perché nel momento in cui ti ritrovi deluso vuol dire che hai preteso qualcosa da un altro senza che questo ti abbia dato un suo parere favorevole. Te lo riporto per farti capire che sono una donna che ama senza contropartite da chiedere. Poi magari inizierò come sempre a divenire noiosa, a stravedere per la cultura napoletana, non so, sempre tifosa del Napoli e via dicendo. Ma l’importante è che i napoletani comprendano il mio affetto per loro, che è innocente, puro”.
– Quali sono i cantanti che esercitano ininterrottamente su di te una influenza definita, che t’ammalia?
“Joni Mitchell, Rickie Lee Jones, Paul Simon, in breve, quei classici della nostra generazione, e Keith Jarrett, che sento a manetta. Poi, quando anche tutta questa musica non mi basta, che dire?, una punta d’ascolto di Bach non guasta mai. Mi resta poi la passione viscerale che nutro per Gabriella Ferri. L’adoro. Nella canzone italiana è un’autorità meravigliosa: ‘Tutti al mare, tutti al mareee…’
– Come interprete va detto che possiedi spaziosità inconsuete: passi da una situazione ad un’altra: attrice di parole, autrice. E poi le incisioni, live, in studio. C’è mai stato qualcosa che ti ha scoraggiato? Possibilità che per tua fortuna non hai scelto di voler fare?
“Ti stai riferendo alle mie vedute aperte, illimitate, nei confronti della musica?”
– Sì, ovvio.
“Direi di no. Invece c’è un mio dolore costante, sai quel tipo di male lievissimo che col tempo diviene una sorta di rammarico. Mi sembra di averlo già spiegato: è la tenerezza per ciò che amo, per la musica. Tutti i giorni mi costringo a dei contrasti con me stessa pur di reinventarmi la passione per la musica: fare questo lavoro adesso è davvero triste, infelice, non hai gratificazioni di nessun genere, né verso il pubblico -perché discontinue e gravose-, né rispetto alla televisione, alla tua immagine pubblica di artista; sappiamo tutti come oramai ci tratti l’ambiente televisivo. Non c’è l’hai nei riguardi di te stessa nemmeno quando incidi nuovi dischi: tu noti bene cosa mi costa fare un album come ‘La musica che mi gira intorno’. Ho sempre inteso registrare dischi come piace a me, una situazione che ho corrisposto in passato e che continuo a saldare. E’ accaduto con la Ricordi, con la Polygram, con la Wea quando mi fu ritirato ‘Danze’ dal mercato -album molto bello- dopo solo tre mesi dalla sua uscita. Il primo quarantacinque giri del microsolco -‘Vola’, se ben ricordi, pezzo inedito di Fossati- fu messo campione gratuito in ogni mensile, quindicinale (intendo dire che veniva omaggiato quale allegato ai periodici) e fu copertina di un nuovo mensile, ‘Music’, all’epoca diretto da Beppe Caporale. Lo scoprii per caso andando nelle edicole. Così mi recai immediatamente alla Wea, interrogai Vincenzini: ‘che accade, che significa questa cosa?’. E lui candidamente rispose: ‘Sai, sì, avevo dimenticato di dirti che ho regalato trentamila copie di ‘Vola’ a ‘Music’ perché, essendo un nuovo periodico, e debuttando oggi…’. Il risultato fu che Ivano, quando lo seppe, voleva sputarmi in faccia, ma naturalmente, essendo vigliacco come tutti gli uomini, odiava me e con me se la prendeva. Non voleva che continuassi a fare il mio lavoro, pretendeva che smettessi di essere Mia Martini per diventare la sua casalinga personale”.
– Giuseppe de Grassi, nel libretto interno alla antologia “L’album di Mia Martini” edita dalla RCA verso la fine dei Settanta, intervistandoti per l’occasione, riporta un episodio spiacevole accaduto tra di voi…
“E’ la verità. Eravamo in casa a Milano. Facevamo colazione. D’improvviso squilla il telefono. Rispondo. E’ Pino Daniele che sentenzia: ‘Intendo scrivere un intero album per te’. Informo con gioia immensa Ivano e come replica lui mi scaraventa l’intero vassoio, con le bevande calde, addosso. Ivano ha sempre sopportato male la mia immagine pubblica di donna. E’ stato e resterà sempre uno dei grandi problemi -irrisolti- tra di noi. Sovente mi ripeteva: ‘Sappi che ho un difetto terribile: sono un provinciale’. Però io non cambiai e non sono cambiata nemmeno adesso, sono la stessa di sempre, anche dopo dieci anni che non ci frequentiamo più. Io voglio bene ad Ivano così com’è, lo adoro; confermo: è una entità, è parte di me. Ma nel nostro rapporto non siamo riusciti affatto a scavalcare le personalità di entrambi per un dialogo affettivo fuori dal comune”.
– L’ultimo album edito dalla RTI, si offre all’ascoltatore come opera compiuta, felice…
“Non smetterò mai di affermarlo: ‘Danza’, ‘Mimì’ e ‘I miei compagni di viaggio’ sono gli album che ho amato ad oltranza e che continuo a patire profondamente, proprio perché mi sono costati cari (nella realizzazione, nelle intuizioni di un cammino fatto soprattutto di dolore, nella affermazione vittoriosa del sapore amaro di una sconfitta): l’ho già detto: v’è ben poco nella discografia che mi è stato offerto, elargito con passione; tutt’altro: è notevole quel che mi hanno tolto, con prepotenza, con brutalità, esigendolo al pari di una che si offre al più danaroso. Ecco perché amo intensamente, nella completezza di intenti, ‘La musica che mi gira intorno’, perché impongo a me stessa (ma in realtà non ve n’è sarebbe bisogno, è una sorta di beatitudine che si prova con naturalezza) di farmi sedurre dalla musica ogni giorno che mi tocca di vivere. In un certo senso mi trovo felicemente vincolata a reinventare un legame di sentimento sempre più difficile da avere, da provare, dato che vi sono delle coercizioni contrattuali, delle responsabilità… così, per provare ogni volta un incanto predestinato nell’attenzione verso la musica, devo seguitare a studiarla, penetrarla più a fondo. E’ con un atteggiamento simile che mi sono ritrovata coinvolta, acutamente, della musica etnica e africana. Ammettiamolo senza mezzi termini caro Maurizio, diciamola tutta senza correre il rischio di essere tacciati per folli: devo imparare una volta per tutte ad usare la musica con lo stesso criterio con cui sono stata sempre trattata, usata io, dalla discografia italiana: come una puttana, una che non ha un’anima, una che è un’esca. Bene, allora per stimolarmi, coinvolgermi, sai cosa faccio?, vado a pescare col mio amo emozioni, sensazioni, sonorità ignote in origini ritmiche scandalosamente originali, primitive. Un turbamento o sorta di misticismo armonioso che mi serve per conseguire, incidere nuovi dischi, produzioni che alla fine terminano per mutarmi, fino a divenire una merce che forse non va poi di pari passo con quel che provo irrazionalmente nell’istante specifico in cui mi ritrovo penetrata di delizia. Lo so, sembra una contraddizione, ma credimi, non lo è. Te lo avvaloro, e nel farlo provo una sorta di gusto insolito: mi fomento con ritmi ancestrali, per poi finire di svendermi con tutt’altro criterio. Un accostamento a delle sonorità, il mio, che però avevo già da anni: prendi come esempio ‘Agapimù’ (l’unica canzone con cui riesco a maturare diritti d’autore, anche se pochi; come sai il testo l’ho firmato): ebbi io l’idea di cantarlo in greco e già lì si rintraccia una passione per la musica etnica. Ed è vero quel che dichiari: ‘E’ proprio come vivere’ resta un solco amabilmente delizioso, anche se riascoltandolo, vi percepisco delle atmosfere che ora, all’istante, mi fanno venire la pelle d’oca. Ma venendo a noi e alla musica: ecco la mia angoscia continua, incessante, che batte dentro il mio cuore, un conflitto da cui non riesco a slegarmi (ma ci provo poi con fermezza?, persisto a interpellarmi). Alla fin fine penso si tratti solo di usare con costanza sottile la potenza della musica per poterla immettere in una immagine squallida, volgare, magari insensata, che è la nostra immagine pubblica, situazione nella quale noi artisti siamo relegati e che di rado rifiutiamo con determinazione”.
– Qual è l’album a cui resti legata e che meglio eleva i tuoi stati d’animo provati un tempo e che all’odierno capti?
“Li ho già enunciati ma, specchiandomici con lucidità, debbo aggiungere alla lista ‘Quante volte ho contato le stelle’, un accadimento a cui resto irrimediabilmente invischiata per la ragione che mi rammenta con amarezza il momento più drammatico del mio legame con Ivano. Lui stava incidendo ‘Città di frontiera’ e in mezzo c’era pure Loredana. Una situazione veramente drammatica della mia vita. Ma pare che ai drammi io vi sia abituata, per forza di cose inspiegabili”.
– Il tuo rapporto con Loredana?
“Oddio, è un legame che sta diventando sempre più impossibile. Tra un po’ assumerà tutti le sfumature del rapporto che ho con mia madre; in altra maniera, certo, ma alla fine diverrà la stessa cosa. Loredana è il mio più grande dolore; non riesco a trovare una condotta possibile per soccorrerla. So bene cosa l’aiuterebbe. Una volta l’ho fatto: ho convinto Ivano a produrla. Sappiamo tutti come questa cosa sia finita, no? Lei bramava la mia vita, e io le ho dato ciò che voleva. Il fatto certo è che non ne ho una di scorta. Non c’è l’ho più una vita. Anch’io ho i miei problemi, debbo sopravvivere ed è durissima per me. Ho un sacco di ferite. Divento sempre più vecchia e più debole. Loredana le sue valigie deve imparare a portarle da sola, se le deve trascinare da sola. Per quel che riguarda me, sto gettando via le mie con una complessità penosa: vi sto eliminando gli oggetti superflui perché c’è troppo peso qui, nel mio cuore, e il vento non sta tirando nella direzione giusta. Non posso più permettermi di portare anche i suoi di bagagli. In qualche modo lei lo deve capire”.
-Ma il vostro bel pezzo sanremese ‘Stiamo come stiamo’… l’hai voluto tu?
“Lei. E l’ha preteso. E’ stato il mio ennesimo tentativo di aiutarla. Oh, non c’è nulla di scandaloso nel rivelarti che l’ha reclamato. Con la Polygram, con me; bada bene che l’ho fatto volentieri, coll’anima, non mi sono fatta rapinare, ho inteso sostenerla per davvero”.
– Ma Loredana ti ama visceralmente, ti stima molto…
“E’ vero. Ma questa sua stima nei miei riguardi è come un’adorazione verso un idolo che quando ami troppo senti poi la necessità di strascinare, di distruggere, perché finisce per diventare la tua peggiore coscienza; nel suo caso, lo diviene innanzi a sé stessa. Lei ha cercato di distruggermi. Non riesce a superare questo suo conflitto interiore. Mi giudica una grandissima artista, e mi odia perché sono una grande artista. Vorrebbe essere come me, non capendo che lei è un’altra cosa”.
– Il pubblico che ti segue da anni, i fan, chi ti adora visceralmente, come credi abbia reagito quando ti sei presentata a loro come cantautrice? Con un album tutto sommato mica semplice, intimista e minimalista all’unisono, qual è ‘Mimì’.
“Beh, che sia una cantautrice, in tanti fanno finta di non saperlo. Però qualche volta qualche giornalista lo ricorda; strano, vero? Per ciò che concerne il mio pubblico o quel che più delle volte siamo soliti denominare fan agguerriti, ah sì, si tratta di persone che mi adorano, mi amano, ma in un modo che ho sempre contestato. Non a caso tanti dei fan club a mio nome m’hanno intentano cause, a mio umile avviso ingiustamente. Mi intristiscono poiché mi praticano come una specie di reliquia, ossia, fanno una cosa assurda: mi vogliono adoperare da veri collezionisti; ma il fatto è che io non sono ancora morta. Siccome sanno, e ne restano certi, che di solito mando al diavolo il mondo della discografia, che sono a rischio di scomparsa continua, hanno l’ingenua abitudine di vivermi come rarità, quasi si trattasse di un reperto storico. Così accade che i solchi conseguiti in qualità di cantautrice vanno a ruba. A volte alcuni sono costretti a pagarli cifre spaventose, solo perché non ristampati adeguatamente dagli editori discografici come sovente accade ad altri, forse più fortunati di me. E’ un tipo di morbosità di alcuni che se non scorgono la lista dei miei dischi in mensili come ‘Raro’, che stima le mie incisioni fino ad ottocentomila lire, non mi considera nemmeno. Così li mando affanculo volentieri, perché mi sono rotta il cazzo: io non sono un cadavere: sono viva e non realizzo dischi già da adesso per il mondo dei collezionisti. Lo urlo ancora, con tutta la mia rabbia: non sono morta; mettetemi prima in una fossa, poi fate ciò che più vi garba”.
– Però “La musica che gira intorno” ha valenze di recupero storico: ad esempio implica una nuova interpretazione di “Piccolo uomo”…
“Sì. E ti assicuro che in ognuno dei prossimi che inciderò, vi troveranno spazio ‘Minuetto’, ‘Donna sola’, ‘Questi miei pensieri’, “Inno’ e via dicendo, fino a riprendermi completamente, poco alla volta, tutti i successi che la discografia mi ha rubato e che continua a ripubblicare in molteplici selezioni (siccome non esistono altre versioni di questi pezzi, non sanno che novità inventarsi. Ah!, no, di un pezzo -‘Piccolo uomo’- esiste una versione orribile, da dj, una cosa vomitevole, da far venire il mal di testa; quanto mi soddisferebbe fargli causa.) Mi auguro che la smettano di inventarsi queste orribili selezioni stampandovi poi il mio nome”.
–So che questo nuovo disco doveva uscire con la Polygram, ed invece… “Polygram che poi m’ha bloccato l’uscita. Un gesto schifoso se valuti che il disco l’ho realizzato io, da sola. M’è costato due anni di pre-produzione, ma la Polygram ha cominciato ad affermare, continuando la cantilena ad oltranza, che erano i detentori delle registrazioni. Che vuoi farci?, l’ignoranza è un volgare stato d’animo, tant’è che il direttore artistico, appena arrivato, da ignorante quale deve essere, per forza di cose, considerava un disco di canzoni già edite, di cantautori italiani, un album di sua proprietà. Fatichi a crederci?, una situazione scioccante, disgustosa, nonché cafona e priva di qualsiasi tatto aristocratico. Comunque, accadde questo: avevo già registrato col mio gruppo in studio e Rai Uno mi chiese se provavo piacere nel chiudere la stagione di ‘Domenica in’ con un mio intervento dal vivo -senza orchestra ma con gli stessi musicisti utilizzati per le registrazioni-, con alcuni di questi brani che m’ero prodotta, resi live per l’occasione televisiva in una forma più teatrale rispetto alla incisione, insomma, a farla breve, tutti entusiasti per l’opportunità. Fatto sta che d’improvviso mi chiama la Polygram e m’avverte: ‘Noi non siamo affatto d’accordo con la partecipazione al programma. Mia Martini non va ad eseguire il disco della Polygram a Domenica in’. Noi? E che m’avevano comprato al mercato del paese? In un primo momento a me veniva anche da ridere, perché: come si fanno a considerare proprie ‘Diamante’, ‘La canzone popolare’, ‘I treni a vapore’, alcune già licenziate anni prima? Poi, talmente scioccata dalla situazione, ho immediatamente rimuginato: il tizio sarà impazzito, ha mangiato qualcosa di strano che gli ha fatto male, che ne so, gli è capitato un incidente, ha sbattuto la testa, insomma meditavo -tentando invano di darmi una risposta- sulla ragione del perché un direttore artistico di una grande multinazionale potesse essere caduto in un simile errore. Addirittura sono arrivati ad avvertire, reperendolo telefonicamente, il proprietario dello studio dove avevo registrato a mie spese avvertendolo: ‘se viene Mia Martini non le dia nessuna cassetta’. Così m’hanno privato del mio DAT, trattandomi come la cameriera che va a rubare nei cassetti delle case dove presta servizio. A me così non mi tratta nessuno: lo affermo prima come donna, poi come persona, infine come artista. Smisi di avere colloqui con la Polygram (chiamai Senardi e gli dissi testuali parole: ‘non è possibile confrontarsi con voi. Qui si fa del terrorismo, e io sono una cantante. Mi dispiace molto, ma è la verità’.). Poi, purtroppo mi ricordai bene di come non avevo (e non ho) una lira, che non avrei potuto permettermi di pagare gli avvocati. E mentre riflettevo su tutta la situazione (sai, per gli addetti ai lavori una che ogni sei mesi cambia casa discografica appare un’irresponsabile. La mia immagine ne sarebbe uscita disastrata. Come avrai notato anche nella tua vita, la gente, poi, non va mai in fondo agli accadimenti), fu Nando Sepe, il mio manager, a ricordarmi che tempo prima, la nascente RTI m’aveva fatto delle proposte da me rifiutate, perché non ho mai amato Craxi, scoprendo invece, senza la mia volontà, di essere capitata nella casa discografica che cercavo da anni. La RTI non l’avrei mai scelta, mi hanno voluto loro. Ed è un bene, perché per la prima volta nella mia vita, se avessi vagliato io un’altra etichetta, mi sarei rovinata. Così, senza porsi curiose domande, hanno pagato il DAT, salvando miracolosamente le basi che avevo incise, poiché il dolore di doverle gettare era immenso, così forte… Pensa che non hanno nemmeno ascoltato cosa stessi realizzando. Hanno acquistato il DAT a occhi chiusi, per fiducia e rispetto alla mia persona, cosa mai capitatami prima. Sono grata alla RTI per questo, sono dei veri professionisti”.
– Tra le cover del nuovo disco spicca un inedito che, senza offesa, al pari delle altre, appare un po’ debole …
“E’ un caso a parte, arrangiato da Maurizio Bassi. Per ‘Viva l’amore’ -che ha un testo bellissimo- avevo in mente un arrangiamento tribale, africano. Invece, poiché era l’unico inedito, è stato trattato come un singolo. Io l’avrei vestito di sonorità ambigue. Ma ‘Viva l’amore’ non è mica un caso chiuso; debbo fare -come ti ho già accennato- un live teatrale, in cui a suonare nel secondo tempo ci saranno solo musicisti africani, e in quella circostanza ‘Viva l’amore’ godrà finalmente dell’arrangiamento legittimo. Farò il live, lo farò, t’assicuro, dove includerò, pensa un po’, anche pezzi del Cinquecento”.
– Con quale criterio hai scelto queste canzoni specifiche?
“Secondo te, conoscendomi, in che modo ho operato la scelta? Lo sai bene cosa può farmi ridere o cosa mi può offendere (in verità non sono tante le cose che mi insultano) dopo aver vissuto sedici anni come un cane… Non rispondi? Va bene, lo faccio io per te: con la saggezza. Te lo dico di nuovo: ho dovuto gettare via borse inutili. Sai, non si possono portare per sempre pesi insopportabili, le ossa iniziano a far male. E i facchini costano -certe mance!- non ti credere. Riprendiamo però il discorso sull’amore e sugli uomini, uomini che dalla propria donna pretendono la mamma, la pappa (e se ci si sbaglia sugli orari vedessi quante incazzature) e poi pure la tonda pallina, perché senza gioco un uomo non ci sa stare. Che intendo dire? Che sono poche le cose che mi oltraggiano. Ma la mancanza di rispetto, quella no, la vivo come una brutalità assurda”.
– Al di là della mancanza di rispetto, data la tua consistenza nel panorama della musica italiana, a chi serve questo disco?
“Intanto vorrei che finalmente gli amici autori non si vergognino più a dichiararmi il loro amore, che non si vergognino come ha fatto Ivano Fossati tutta la vita. Se è vero che mi ami, dillo, provalo. A me non gusta alcuna pubblicità nell’amore, ma mi basta sapere che finalmente chi intende frequentarmi lo abbia accettato nel fondo del suo cuore: se mi amate, ditelo. A me basta intuire che gli altri capiscano: sono così, lo sapete, e potete finalmente invaghirvi perché sono tale, e non perché sono la vostra masturbazione assoluta. E poi serve a me. Sai?, si doveva chiamare ‘Per niente facile’. Stavo preparando il disco quando mi è accaduta una cosa curiosa. Però devo dirti tutto dall’inizio -non so se ti interessa venirne a conoscenza- altrimenti non potresti capire: vivevo in questa casa, in Umbria, che consideravo la mia isola. E per quest’oasi ho speso dei soldi. Comprai una piccola saletta d’incisione, un minuscolo studiolo dove lavorare in pace (devi sapere che scrivo anche le produzioni dei miei lavori, il che non significa solo prendere nota di possibili canzoni. La scrittura produttiva è affascinante per poter capire a fondo i personaggi che si andranno ad interpretare). Contemporaneamente alla stesura del disco ero anche in tournée e quando tornavo a casa, di notte, provavo a gettare le idee sul mio quattro piste (sai che dopo anni mi ritrovavo a scrivendo di nuovo?). M’era venuta voglia di farlo dopo del tempo in cui m’era mancato lo stimolo per elaborare idee inconfessate; l’ispirazione si presenta a te quando c’è l’amore, inutile confondersi. E io non sono innamorata da anni. Se pensi che l’ultima cosa da me scritta fu ‘Quante volte.. ho contato le stelle’… e invece, senza vivere un sentimento, anche se non sono innamorata, mi è tornata la partecipazione per la musica, così, inaspettatamente. Devo essere sincera con te: l’avevo persa, ed ero in un certo qual senso disperata. Nota che se anche cantavo ‘Almeno tu nell’universo’ non vuol dire che mi ritrovassi gioiosa: Ci sono episodi troppi lunghi nella vita di un artista, dovuti a compromessi continui, a lotte, anche politiche, per poter spiegare con minuziosità. Ma non farmi deviare dall’argomento… ti dicevo che mentre prendevo appunti sulla produzione, scopro con orrore che il mio rifugio è colmo di topi. Accadde che settimane prima che me ne accorgessi il proprietario mi aveva proposto di comprarla, al prezzo di duecento milioni; rifiutai. Così, affinché me andassi, il proprietario finì per perseguitarmi, giungendo a mettere lui stesso i ratti nell’abitazione. Anzi, pur che mi togliessi dalle scatole, fece di più: pagò due milioni la donna di servizio affinché mi spaventasse. Guarda che non sono fuori di testa. E’ tutto vero. Scopertolo, finii per denunciarlo. Poi, per quieto vivere, chiamai anche un perito affinché desse una esatta valutazione della casa (premetto che m’era già costata sessanta milioni per migliorie varie). Il perito mi consigliò di offrire non più di settanta milioni. Andai dal proprietario con in mano il foglio della valutazione, firmata dal perito, al che lui, preso in contropiede e alla sprovvista, iniziò a darmi della ladra (ah!, cosa sono a volte i contadini!), decidendo di non vendermi più questo posto che trovavo graziosissimo (va da sé che avrei offerto anche più della valutazione, ma duecento milioni erano veramente ingiustificati). Insomma, durante la nostra disputa, una notte -rientrata dalla solita serata live-, mentre provavo a suonare delle melodie che mi intrigavano, dalla libreria scese giù un ratto enorme, ma veramente gigantesco. Tale fu il colpo che mi prese che corsi ad accendere ogni amplificatore, tutte le casse, col solo suono dei rullanti e dei piatti, pur di spaventarli (dietro all’imponente ratto venuto giù dalla libreria scoprii che ve ne erano altri della stessa misura. A fartele breve, delle famiglie intere, e non erano mica quei graziosi topolini di campagna). Oltre all’assordante suono, l’avvilente risultato fu che i topi (erano tantissimi) completamente rincoglioniti dalla luce e dal rumore, non sapevano più cosa fare, dove dirigersi, come salvarsi da ciò che probabilmente consideravano l’apocalisse. Morale della favola: io dovetti lasciare la casa (fui sfrattata con forza), finendo a vivere per due lunghi anni tra alberghi vari. Accadde così che il disco che volevo scrivere, ‘Per niente facile’ appunto, non riuscii più a scriverlo. L’ispirazione era scomparsa, e con essa le motivazioni di rimettermi in gioco. Non è che ho cambiato il titolo, ho rimosso tutto il disco: ero partita con l’intenzione di realizzare una cosa tutta mia, poi è sopraggiunta una spossatezza, una tristezza, tale da non voler incidere nulla. Mettici pure che di nuovo provavo il desiderio d’avere accanto a me un uomo. Non riuscendolo a scorgere (forse quando più li desideri, gli attaccamenti prendono altre vie), mi sono rifugiata nelle canzoni, prima De André, poi Bennato, poi Fossati, poi Dalla, scoprendo che -non avendo intenzione più di scrivere, l’ho già detto, m’era passata la voglia- avevo desiderio di cantare solo loro. Ho preso questo grappolo di meraviglie e le ho fatte mie. Nell’interno di queste perle vivo io: ascolta ‘Mimì sarà’ e capisci come lì dentro io mi spinga, col sangue, coll’animo. Adesso ti rispondo anche alla domanda fattami anteriormente: le canzoni che ho scelto (ad esempio Lucio Dalla ha delle cose migliori di ‘Stella di mare’) le ho predilette in base a ciò che mi avvinceva di più come donna. Capisci?, cercavo l’amore. A tal punto che ho finito per preferire brani ideati in attimi rilevanti, che si possono godere solo quando c’è l’amore vero (pensa a ‘Dillo alla luna’, canzone d’amore bellissima: ‘Guarda quando mi parli’… purtroppo conosco bene l’umiliazione che prova una donna quando parla ad un uomo mentre questo continua a rimirare le sue scarpe. O ad ‘Hotel Sopramonte’, dove si conferma il compattamento incondizionato di un rapporto d’amore -i nove mesi della prigionia- già permeato di beatitudine dall’inizio), la passione assoluta. Quella passione dell’animo che ostinatamente continuo a inseguire e di cui forse non potrò godere mai”.