«Nel 2020 esce da Fandango il libro «Sarah. La ragazza di Avetrana» di Flavia Piccinni e Carmine Gazzanni. L’anno dopo, quel libro diventa una docu-serie per Sky Original prodotta da Groenlandia. La stessa casa di produzione ha ora tratto dallo stesso libro “Qui non è Hollywood”, una miniserie in quattro puntate per la regia di Pippo Mezzapesa (Disney+)». «Ogni puntata – scrive Aldo Grasso – privilegia il punto di vista di uno dei principali protagonisti della luttuosa vicenda, quasi a creare un piccolo “effetto Rashomon” (si ha quando diversi testimoni forniscono altrettante versioni dei fatti).Così, fra ricostruzione dettagliata degli eventi e segni premonitori, Sarah Scazzi, sua cugina Sabrina e i genitori di quest’ultima, Michele Misseri e Cosima Serrano, ripercorrono cronologicamente il misterioso e controverso caso d’omicidio.
Nella scansione dei quattro episodi, la scrittura rimane sempre sospesa fra due poli opposti. È difficile capire se il regista Mezzapesa ha fatto una raffinata operazione metalinguistica, facendo il verso agli stilemi della tv del pomeriggio, dove l’interpretazione della tragedia avviene sempre fra dilettantismo ed eccitazione emotiva, dove i personaggi si sfrangiano nella chiacchiera e nel parere degli esperti (per questo, i personaggi sono poco più che abbozzati).Oppure, è l’altra ipotesi, questa scrittura che si allontana molto dai canoni classici del true crime, che non ha nulla di stilisticamente rilevante (quanto è vera la scritta che appare su un muro «Qui non è Hollywood»!), segnala solo l’incapacità di prendere le distanze dal magma televisivo, senza avere la forza di riscrivere il dramma per emanciparlo dalla cronaca e restituirci silenziosi e sconvolgenti fantasmi che ci interpretano e lacerano» conclude il critico del Corriere.